Beatificazioni
Celestina Gilardoni
Suor Maria della Santissima Trinità
Cofondatrice delle Ancelle di Gesù Crocifisso
Pur essendo nata nella cittadina di Mondovì, nel borgo di Clavesana (CN) il 20 novembre 1893, dove i suoi genitori si erano trasferiti per motivi di lavoro, la famiglia Gilardoni era nativa della Perla del Lario – per meglio dire di Bellagio.
Appena potevano ci ritornavano e proprio a Bellagio nel 1910 i genitori decidono di farle fare la Prima Comunione nella chiesa di San Giovanni, anno in cui l’intera famiglia pianificò poi il ritorno definitivo nel loro luogo natio.
Celestina si iscrisse ad alcuni corsi preparatori per diventare maestra. I suoi studi continuano poi a Milano. Si sentiva particolarmente a suo agio con i bambini e sviluppò un innato senso materno verso piccole creature affidate a lei.
Con la nascita della Azione Cattolica, appena si apre la sezione di Bellagio, Celestina ne fece subito parte e ne divenne responsabile parrocchiale.
Celestina amava sempre di più la vita francescana grazie anche ai colloqui spirituali con un padre francescano che aveva fondato Un Istituto Secolare femminile.
Non lontano da Bellagio, in Valtellina, Don Giovanni Folci pensava da qualche anno di dare vita all’opera e ai pre-seminari per i ragazzi che potevano avere in germe qualche segno di vocazione sacerdotale.
Don Folci aveva bisogno di una figura che lo aiutasse e, venuto a conoscenza di Celestina durante un incontro dell’Azione Cattolica a Como, le fece compilare un questionario e dopo un serissimo colloquio si convinse che aveva una personalità forte, generosa e profondamente spirituale;
la sua vita si trasforma radicalmente: decide di dedicarsi totalmente a quella missione diventando suor Maria della Santissima Trinità, cofondatrice delle Ancelle di Gesù Crocifisso, madre, guida, esempio e sostegno per tanti seminaristi e per le sue consorelle.
Dopo un lungo calvario doloroso per via della sua infermità a tutti gli arti si spegne il 7 settembre del 1948.
Beato Teresio Olivelli
Si offrì in Olocausto
Nell’Azione Cattolica e nella San Vincenzo, ad esempio, dove in particolar modo si modella in lui lo stile del “farsi tutto a tutti” che finirà per contraddistinguere tutta la sua vita.
Laureato in giurisprudenza nel 1938, dall’anno successivo diventa assistente della cattedra di Diritto amministrativo all’Università di Torino.
Nel 1939 vince anche i Littoriali di Trieste, una gara di abilità oratoria e di preparazione culturale, in cui discute una tesi sulla pari dignità della persona umana, a prescindere dalla razza.
Scrive articoli giuridici e sociali su temi dell’epoca, nel giornale universitario “Libro e Moschetto” e sulla rivista “Civiltà Fascista”; è nominato Littore e segretario dell’Istituto di Cultura Fascista e membro e primo segretario all’Ufficio Studi e Legislazione presso Palazzo Littorio.
Tutto questo fervore di attività culturale e politica non riesce a spegnere il suo impegno caritativo e di condivisione: durante il suo soggiorno torinese, ad esempio, lo vedono impegnato a fianco della gioventù sbandata e accanto ai poveri del Cottolengo.
Nel febbraio 1941 si arruola volontario e in seguito parte per la Russia: ufficiale degli alpini, ma con uno stile tutto suo di cameratismo e di servizio, che lo porta durante la disastrosa ritirata a rallentare la sua marcia per soccorrere i feriti e gli assiderati, anche a rischio della sua stessa vita.
Sua specialità è l’assistenza spirituale ai moribondi e, come già sulle rive del Don commentava il vangelo ai soldati, così ora, nella steppa, consola ed assiste nei momenti estremi i soldati che il freddo e la malattia decimano sotto la tormenta di neve.
Il suo rientro fortunoso in Italia segna la rottura definitiva con l’ideologia fascista, di cui ha conosciuto le aberrazioni e le conseguenze nefaste: abbandona ogni forma di collaborazione, anche culturale, con il regime e il 9 settembre 1943 è fatto prigioniero dai tedeschi.
Rinchiuso prima a Innsbruck e poi in altri campi, il 20 ottobre riesce ad evadere e ritornare in Italia, dopo una lunga fuga solitaria. Collabora alla costituzione delle “Fiamme Verdi”, formazioni partigiane di impronta cattolica e nel febbraio del 1944 fonda il giornale “Il ribelle”, elaborando programmi di ricostruzione della società dopo la tragedia del fascismo e della guerra.
Il 27 aprile del 1944, Teresio Olivelli è arrestato a Milano. A San Vittore comincia il calvario delle torture, che continuano nel campo di Fossoli.
L’11 luglio 1944 il suo nome viene inserito in una lista di 70 prigionieri da fucilare, ma riesce a sottrarvisi, nascondendosi nel campo.
Nuovamente catturato, è quindi trasferito nel campo di Gries (Bolzano): sulla sua casacca ora, oltre al triangolo rosso dei “politici”, c’è anche il disco rosso cerchiato di bianco dei prigionieri che hanno tentato la fuga e che devono subire un trattamento particolare.
È trasferito a Flossenbürg, in Baviera e infine a Hersbruck, dove si prende cura dei compagni, tentando di alleggerirne le sofferenze, di curarne le ferite, di aiutarli a sopravvivere privandosi delle proprie scarse razioni alimentari.
Svolge un invidiabile ruolo di “supplenza sacerdotale”, al punto che molti sopravvissuti hanno riconosciuto di aver avuto salva la vita unicamente grazie al conforto e al sostegno da lui ricevuti.
Ormai deperito e reso l’ombra di se stesso, nei giorni di Natale assiste sul letto di morte Odoardo Focherini (oggi beato) e muore alcuni giorni dopo, il 17 gennaio 1945, in seguito alle percosse ricevute da un kapò, mentre cerca di fare scudo con il proprio corpo ad un giovane prigioniero ucraino brutalmente pestato.
Il suo corpo è bruciato nel forno crematorio di Hersbruck, ma la Chiesa di Vigevano ne ha promosso la causa di beatificazione, già conclusasi a livello diocesano nel 1989.
Speciale di TV2000 su Teresio Olivelli con immagini girate a Bellagio
(dal minuto 34:14)
Mons. Oscar Cantoni, Vescovo